Baglioni: l’arte, la storia personale e il gossip

Quelle che seguono sono alcune considerazioni personali che mi sento in dovere di scrivere dopo il mio articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano in occasione dell’uscita dell’ultimo disco di Claudio Baglioni In questa storia che è la mia.

Questo mio pezzo ha smosso un numero cospicuo di fans di Baglioni che si dicono “a favore della tua battaglia per il ritorno di Claudio con Paola” (sic.); me lo scrivono in privato, al suono di “com’erano belli insieme” (sic.) e “loro sì, si meritavano” (sic.). Per me è assurdo. Mi sento come Samuele Bersani che, dal palco, rilanciava gli orsacchiotti al pubblico; e non ho nemmeno scritto “Spaccacuore”.
Il tutto perché nel pezzo ho scritto che secondo me Paola Massari (l’ex moglie di Claudio Baglioni) sta in tutte le canzoni d’amore del cantautore romano. Concetto fin troppo semplice, ai limiti dello scontato. Questo però (ma dovevo prevederlo) ha rimestato la storica polemica dei fans tra chi è a favore dell’ex moglie contro chi sta con l’attuale compagna, Rossella Barattolo.
Ma, dico io, uno può accettare che un discernimento critico e filologico si riduca ad adolescenziale partigianeria da quattro soldi? Che prima di tutto offende Paola Massari e Rossella Barattolo, e poi lo stesso Claudio Baglioni. Io dico di no!
Il passo incriminato è questo:
Paola rappresenta le canzoni d’amore: tutte le canzoni d’amore di Baglioni parlano di lei, è inevitabile. E non importa che siano davvero dedicate a lei o da lei ispirate. È qualcosa di più grande e che il cantautore non sceglie; non è nemmeno una faccenda romantica: è così. Lei è la maglietta fina, la sua Beatrice, la sua Laura; senza di lei Claudio dev’essere rimasto solo per davvero”.
Ora: questo passo non dice altro se non che la separazione con la moglie abbia rappresentato un trauma per Baglioni, trauma che ha acceso la miccia creativa della “Trilogia dei colori” degli anni Novanta. Non serve ad altro questa mia osservazione, che nasce da esigenze filologiche per indagare il tenore artistico di un certo periodo del cantautore e la differenza con il successivo, che con il precedente entra pur sempre in rapporto dialettico. Inevitabilmente.
È fin troppo scontato, inoltre, che un tale evento personale possa rivestire questo ruolo nella carriera di un artista. Parliamo qui di un legame non solo affettivo, ma di una collaborazione artistica: Paola Massari non sta solo sopra le copertine dei dischi di Baglioni, ma è anche nei crediti. Il loro era evidentemente un rapporto a doppio filo, non ci vuole uno scienziato per capire una cosa del genere. Lo stile di Baglioni è decisamente mutato dopo la separazione.
In questa storia che è la mia rappresenta anche l’emancipazione da quel trauma della separazione. Perché per la prima volta, Baglioni è tornato a scrivere d’amore in maniera (convincente) orizzontale e romantica, come non succedeva dagli anni Ottanta (e nella Trilogia ma in maniera, appunto, differente): non c’è solo Mal d’amore in questo disco, ma anche Come ti dirò, prova provata che Baglioni ha fatto pace con il passato. Una canzone stupenda. Far pace con le canzoni d’amore fino al punto di scriverci un concept – come scrivo nell’articolo – è soprattutto questo.
Per tutte queste ragioni, io non potevo tacere l’importanza del distacco da Paola Massari (e non mi sono permesso di andare oltre quella informazione che ho dato, checché ne pensino i fans più esagitati che hanno fatto il resto). Così come – se si vuole capire il secondo De André – non si può tacere l’importanza che ha avuto il sequestro del 1979: sono vicende essenziali che determinano uno scossone nella fucina dell’artista. Tacerle vuol dire aver paura del discernimento.
Davvero si possono ricondurre tutte queste considerazioni al tifo per l’una o per l’altra fazione? Davvero si può ridurre una materia così preziosa come l’ispirazione di Baglioni a una vicenda da rotocalco di quart’ordine?
Mi scuso con i diretti interessati: con Claudio Baglioni, con Rossella Barattolo e con Paola Massari se le mie parole sono sembrate indiscrete. Davvero non era mia intenzione.
Spero sia chiaro che, in quel punto, a me interessava solo far capire quanto sia stato grande il distacco tra un prima e un dopo; e quanto sia importante quest’ultimo album per l’enorme merito di aver recuperato la capacità di Baglioni di far pace con le sfide che la vita ci pone dinanzi e farle diventare canzone.
Io non posso sapere a chi pensi oggi l’artista Baglioni quando scrive le canzoni d’amore. Ha una compagna, le scriverà a lei; non lo so e non è importante. Per dirla con Max Manfredi:
Non sono, le canzoni, ruffiane della storia, non mendicano la loro importanza al vissuto sociale o al divenire di chi le ‘usa’.
La creatività artistica va oltre le ragioni e i torti. Per quanto se ne abbeveri, l’arte non è la storia. Si può parteggiare per gli americani in Normandia, per gli inglesi a Trafalgar. Ma la vita privata degli artisti, se non rivoluziona il processo creativo, vale tanto e, per certi aspetti, quasi niente. È una questione di rispetto. Vale per loro, tantissimo, come vale per noi la nostra. Ed è privata a noi, appunto, non nostra, quindi ne dobbiamo avere rispetto, soprattutto nei confronti di uno come Baglioni, che non manca mai di dimostrare di essere una persona discreta e dai modi garbati e d’altri tempi. Ma non conta il fatto in sé. La cosa importante e che deve interessare il critico è il processo creativo che i singoli episodi personali sanno mettere in moto; conta la capacità di “saper fare” delle migliori maestranze: la loro poetica, che loro e solo loro sanno fare così. Il resto è puro e inaccettabile gossip.
p.s. Me le potevo aspettare le reazioni pruriginose dei fans? Forse sì. Ma allora che si fa? Per paura di certe scomposte e inadeguate interpretazioni non facciamo più critica musicale? Ci arrendiamo al pensiero di chi crede che le vicende private altrui ci riguardino più di quanto dobbiamo azzardarci? Io non mi arrendo di certo.