Draghi, Conte e Max Manfredi: i poeti ci arrivano prima
Era il 2008 e il cantautore Max Manfredi nella canzone Il regno delle fate sembrava descrivere minuziosamente l’ascesa al potere dell’uomo comune, in un tripudio carnevalesco ubriacante, dopo i primi V day del 2007 – e si pensi che chi scrive ascoltò per la prima volta il brano dal vivo al Premio Lunezia del 2005 – e con un’aria comunque minacciosa e incosciente, nel seguente passo:
“Emergeranno tutti i topi dai tombini fra la gente che si fa le ultime pere,
occuperanno tutti quanti i posti chiave delle leve del potere.
Allora sì che rideremo quando tutto sarà immenso come un grande carnevale
e rideremo e bruceremo quei fantocci che vederli ci fa male.
Allora sì che leggeremo tutto il mondo come fosse in filigrana
e sarà bello ad ogni brivido vedere come tremerà la scena.
Staremo lì sotto le stelle sparse in cielo come un chilo di farina
e batteremo i piedi a tempo al freddo, dall’erogatore di benzina.
Ed entreremo in qualche cinema da pulci dove ruscano gli amori
ed usciremo da quel cinema e sapremo che eravamo noi gli attori.”
[Max Manfredi, Il regno delle fate, 2008]
Il seguito de Il regno delle fate è poi scritto in una canzone che Max ha intitolato Il negro – fra l’altro, anagramma di “regno” – del 2014, speculare e complementare per forma e contenuto, in cui si prefigura la restaurazione, nell’impressionante descrizione dell’oggi, con “cinema sfasciati”, parole, sillabe e fonemi stravolti dopo il bagno di apparente democrazia diretta:
“I padroni antichi ci han lasciato con la zuppa e con le chiavi, hanno raggiunto stelle più lontane; i
o non provo alcuna gratitudine, soltanto questa sorda nostalgia, come se fossi un cane.
Quando torneranno in forze per rivendicare il regno che gli spetta per diritto ereditario
troveranno cinema sfasciati, radio e navi abbandonate a ferro e fuoco il loro sillabario”
[Max Manfredi, Il negro, 2014]
Saranno corsi e ricorsi, e sarà che lo schema prevede sempre una pseudo-rivoluzione che attende una restaurazione. Comunque i poeti, quelli bravi, vanno ascoltati, perché arrivano sempre prima.
Sono nato a Pescara nel 1979. Insegnante, critico musicale e divulgatore culturale, mi sono laureato in Lettere con una tesi su Guccini, Gozzano e Montale, specializzandomi in Filologia Moderna con un lavoro dal titolo Pier Paolo Pasolini nella canzone d’autore italiana: Fabrizio De André e Francesco De Gregori e ho frequentato il master in critica giornalistica organizzato dall’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica ‘Silvio d’Amico’. Scrivo di letteratura, cinema e sport. Sono stato per quindici anni direttore di redazione e delle sezioni ‘Autori di testo’ e ‘Musicare i poeti’ del Premio Lunezia; faccio parte della giuria che assegna le targhe al Premio Tenco e attivo organizzatore di eventi che tendano a valorizzare la canzone d’autore italiana. Negli anni, ho diretto e organizzato concerti e interviste-concerto con alcuni dei più grandi cantautori italiani come Roberto Vecchioni, Niccolò Fabi, Samuele Bersani o Max Manfredi. Ho conseguito il Dottorato di ricerca all’università Tor Vergata di Roma con un lavoro dal titolo “Il canone letterario della canzone d’autore italiana, intesa come letteratura musicale“. Da oltre quindici anni la mia ricerca punta soprattutto a evidenziare come la canzone d’autore sia un’espressione artistica autonomamente letteraria. Ho all’attivo la pubblicazione dei volumi: Immagini e poesia nei cantautori contemporanei (Bastogi, 2006); Cantautori novissimi. Canzone d’autore per il terzo millennio (Bastogi, 2008); Nudi di canzone. Navigando tra i generi della canzone italiana attraverso il valore musical-letterario (Zona, 2010); Vasco, il Male. Il trionfo della logica dell’identico (Mimesis, 2012); Ivan Graziani. Il primo cantautore rock (Crac, 2015), Il canone dei cantautori italiani (Carabba, 2017). Sono direttore artistico dell'Osteria delle Dame di Bologna. Sono articolista e blogger de Il Fatto Quotidiano.
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