Insegnare i cantautori a scuola: uso analitico e uso imitativo
Leggendo un libro su Lucio Battisti, scritto da Gianfranco Manfredi (Lato Side, 1979), mi sono imbattuto in una riflessione sui cantautori e sull’insegnamento nelle scuole.
È il 1979, Manfredi si augura che i cosiddetti “cantautori” non siano mai insegnati nelle scuole (foto 1).
D’altra parte, leggendo oltre (foto 2), auspica che la canzone, in generale come oggetto artistico, sia ricordata perché “entra, è entrata, entrerà nelle nostre giornate”.
A mio avviso, Manfredi con questa seconda affermazione coglie un aspetto cruciale dell’oggetto artistico di cui sta parlando, perché la canzone è un fatto sia estetico che sociale. Penso anche che con la prima riflessione sia stato un po’ troppo frettoloso; credo che una cosa non escluda l’altra: l’aspetto orizzontale e quotidiano della canzone non ne ostacola l’eventuale bontà letteraria.
È salutare sfruttare anche la potenzialità sociale della canzone, di quei brani che spesso non sono interessanti letterariamente (e nemmeno ci tengono!), eppure restano dei macigni nella storia sociale e culturale nel nostro Paese.
Non c’è canzone di seria A e canzone di serie B. Ci sono solo diverse necessità espressive.
Ma si può insegnare a scuola anche lo specifico letterario dei cantautori, basta farlo in maniera adeguata e non come si fa con i poeti classicamente intesi, perché il linguaggio è differente.
Sono due strade diverse, ma perfettamente compatibili.
Da anni mi occupo di queste cose e da anni “uso” diffusamente la canzone nelle mie lezioni a scuola.
Recentemente mi sono dedicato a un’idea di curricolo, tramite la quale provare a fare ordine nell’inserimento della canzone nelle scuole secondarie di primo e secondo livello (per capirci: le scuole medie e quelle superiori).
Le due strade, nella struttura del mio metodo di lavoro, prendono il nome di uso analitico e uso imitativo.
A presto per saperne di più.
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