Letteratura e canzone, corso di Federico Sirianni alla Scuola Holden
Da questa intervista è nata una mia riflessione su Il Fatto Quotidiano che si può leggere qui.
Dalla seconda metà di ottobre la Scuola Holden di Torino dedicherà una serie di lezioni al tema del rapporto tra la letteratura e le canzoni, con un corso dal titolo “Songwriters. Canzoni e racconti” che vedrà nelle vesti di docente il cantautore Federico Sirianni.
Ora: la Holden è sicuramente una delle realtà più conosciute in Italia per la letteratura e Sirianni è – secondo chi scrive – uno dei nostri migliori artisti per ciò che riguarda la canzone d’autore, ed è in generale uno dei cantautori più “letterari”. Per tutti questi motivi mi è parso interessante approfondire la cosa, facendo qualche domanda proprio a Sirianni.
In che modo secondo te la canzone d’autore può essere una forma di letteratura?
Faccio molta fatica a muovermi tra le numerose categorie della scrittura perché, sin da quando ero molto giovane, letteratura, poesia e canzone si sono intrecciate parecchio nel mio percorso di crescita. E, a prescindere da me, si sono intrecciate parecchio nella storia degli ultimi sessant’anni.
Ci sono anche molti esempi illustri…
Esatto, penso a Montale, che avrebbe volentieri scritto dei versi per Modugno e penso a Pasolini, che lo ha fatto con quel capolavoro di Cosa sono le nuvole. Penso al compositore Herbert Hughes, che mise in musica la bellissima poesia di Yeats In the salley garden. Penso a tutti i riferimenti che ha regalato il movimento della beat generation a una quantità gigantesca di musicisti e songwriter. Penso ai tantissimi cantautori che son finiti sulle antologie scolastiche. Sono solo pochi esempi, potremmo (potresti) scriverci un libro, ma credo rendano l’idea di come canzone e letteratura possano trovarsi a camminare a braccetto.
Perché secondo te fino a oggi in Italia è sostanzialmente sempre stata tenuta fuori dai luoghi d’insegnamento?
In realtà negli ultimi anni, sia pur marginalmente, la canzone è riuscita a far un poco breccia nei luoghi della didattica, mi viene in mente Vecchioni che ha portato in alcune università italiane i suoi corsi. Il mio corso alla Scuola Holden parte da una serie di focus su alcuni tra i cantautori che hanno segnato una sorta di punto di non ritorno nella storia della musica, sull’analisi di certe canzoni, sul rapporto che hanno avuto proprio con la letteratura – quanti grandi songwriter si sono cimentati nella forma racconto o romanzo, con alterne fortune.
Ci saranno anche testimonianze dirette durante il corso?
Certamente, inviterò alcuni colleghi amici a raccontare le loro esperienze, i loro aneddoti. Poi ci sarà il laboratorio, in cui tenteremo di scrivere collettivamente una canzone. Mi rendo conto possa essere un atteggiamento dicotomico rispetto al lavoro del cantautore che, solitamente, scrive in solitudine, ma muoversi e agire insieme regala grandi sorprese, risultati inattesi e, soprattutto, è terapeutico.
Quanto influisce la tradizione letteraria (prosa o poesia) che hai amato nelle tue canzoni? Sia dal punto di vista formale che di contenuto.
Direi in maniera significativa. Per quanto molti tuoi colleghi critici si siano sforzati di trovare dei riferimenti musicali, nel momento in cui si son presi la briga di recensire i miei dischi, i miei riferimenti sono invece quasi sempre letterari. Nelle mie canzoni è facile trovare citazioni, magari non immediate, da libri e autori che ho amato molto, cito tra i tantissimi Malcom Lowry o Tibor Fisher o Dino Campana o – perché no? – i profeti dell’Antico Testamento.
Beh, poi anche tu hai scritto un libro di recente…
Sì, nel mio piccolo piccolo ho commesso il peccato di pubblicare un libro anch’io, L’uomo equilibrista, uscito per Miraggi Edizioni lo scorso Natale, un libro di cui però nego ogni valenza letteraria, sono ricordi, aneddoti, piccole storie da bar. Ma è la prima e l’ultima volta, lo giuro.
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