Roberto Vecchioni. Poetica e cicogne

foto di Roger Berthod

Questo scritto è contenuto nella rivista “Il cantautore”, diretta da Enrico Deregibus, legata alla XXXIX edizione della Rassegna della canzone d’autore (Sanremo, 22-24 ottobre 2015).

Roberto Vecchioni è nato a Carate Brianza il 25 giugno 1943 e da allora non ha più smesso.

Uno dei capostipiti della canzone d’arte italiana, ha iniziato come autore – e non solo di brani d’essai – negli anni Sessanta, vivendo poi da protagonista la stagione aurea dei cantautori.

Vecchioni però non è solo Luci a San Siro o Samarcanda degli anni Settanta.

I brani di Vecchioni, come succede con Guccini, con De André e con quelli per cui Amilcare Rambaldi disse «Non li vuole nessuno? Li voglio io!», hanno la capacità di rivendicare una propria autenticità, con un’epica che rende la canzone forma più letteraria della stessa poesia: arte autentica ma – attenzione! – non per forza sincera. Il valore di ciò che è autentico risiede nel rapporto tra il contenuto di quell’opera e il fatto che, in quel modo, solo il suo autore può saperla fare. Da qui, dei cantautori come Vecchioni non apprezziamo solo i singoli brani, ma sentiamo la necessità di preservare la poetica, la capacità di tradurre il mondo in quella (e proprio in quella) forma senza tempo che è la canzone.

Quando, dopo gli anni Ottanta, pareva essere tutto finito e i cantautori oramai sembravano destinati al canto muto, Vecchioni ha messo in fila alcune tra le sue cose più riuscite: nel 1995 con l’album ‘Il cielo capovolto’, per esempio.

Ecco perché Vecchioni, dal 1943 in poi, non ha mai smesso di nascere: col suo modo di scrivere e cantare – declinato in un caleidoscopio di parole, rime e ritmi rifrangenti la realtà –, ogni volta che inventa una nuova canzone, racconta il ‘poetico realismo’ del mondo, cercando tramite l’unione della melodia, degli accordi e del testo di «far ridere e piangere una parola», come recita Le rose blu del 2007.

Alla base di ogni suo brano c’è sempre un’idea, una scintilla di senso e un intreccio spiazzante, che rappresentano la necessità e il motivo per scrivere e rompere il silenzio. E – come succede con l’amato Borges –, dentro le sue canzoni, le regole del mondo fuori non funzionano: si rincorrono, si impastano e si stravolgono spesso la storia e la migliore letteratura, intavolate a chiasmo come momentanee finzioni, come stratagemmi per ingannare il destino e dare scacco al tempo.

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